C’è un tocco di ingenuità o inesperienza dietro certe affermazioni e frasi fatte che colpiscono la narrativa di genere con particolare frequenza, soprattutto da parte dei frequentatori occasionali. Una di quelle che mi incuriosisce di più riguarda la costruzione del mondo fantastico o fantascientifico (il cosiddetto world building). Posto che immaginare una realtà differente da quella di cui si ha esperienza richiede una certa dose d’immaginazione, concesso che rendere un mondo fittizio abbastanza coerente e organico richiede un quantitativo di talento letterario non scontato, rimango sempre basita quando sento dire frasi come “è un bel romanzo fantastico è perché ha un world-building incredibilmente complesso”.

Forse però non dovrei stupirmi, considerando quanti e quali best seller fantasy dominano le classifiche. Romanzoni affetti da cronico ipertrofismo geografico e dall’ossessione per il dettaglio genealogico, topografico e modaiolo, che fanno levitare il conto pagine ben oltre le 500 o 600. Eppure sembra che proprio grazie a questa formula abbiano parecchia presa su un certo tipo di pubblico. Io stessa ho una predizione particolare per tutta una serie di autori (da Richard Morgan a Ian McDonald) proprio per la loro capacità di costruire una realtà altra che sembri innanzitutto organica e complessa, con una quantità di ricadute sociali, politiche ed economiche che vanno oltre una trasformazione cosmetica della nostra, scavando a fondo e a lungo.

A mio modo di vedere però ciò che distingue una cerchia di onesti scribacchini dalla buona resa dagli autori davvero talentuosi non è la capacità di creare complessità, ma quella di gestirla e dominarla, riducendola a una forma che appaia così semplice e immediata da risultare naturale. Esempio perfetto di cosa succede quando un narratore ha per le mani un mondo di grandissima potenzialità ma fatica a tenergli testa è The Monster Baru Cormorant di Seth Dickinson, il sequel del qui amatissimo The Traitor Baru Cormorant.

Riducendo ai minimi termini: The Monster Baru Cormorant è un’esplosione che l’autore fatica a contenere e che il lettore a sua volta deve faticare e non poco per fronteggiare. Che la stesura di questo secondo tomo fosse problematica – per quello che a mio modo di vedere poteva e forse avrebbe dovuto rimanere un bellissimo scritto autoconclusivo – lo si era capito dai tweet sempre più ansiosi che l’autore faceva a riguardo. Il conto parole era spaventoso, le stesure multiple, la riscrittura senza fine.
Considerando le premesse Seth Dickinson esce comunque da vincitore dall’insidiosissima prova del secondo romanzo, ma lo fa in zona Cesarini e con uno sforzo narrativo e fisico quasi palpabile.

Storia lunga breve: avevamo lasciato la sua creatura, Baru Cormorant, di fronte al tradimento chiave della sua vita, la terribile prova a cui doveva essere sottoposta per arrivare al tavolo da gioco di Falcrest, la giovane repubblica imperiale a cui l’eroina aveva giurato vendetta dopo che aveva sconvolto la sua patria Taranoke, ucciso uno dei suoi padri e ordito inganni, epidemie e stermini anche a Vultag, ducato dell’amante di Baru e scenario della sua prova di fedeltà all’impero. Riprendo fiato.

Da traditrice qui Baru diventa mostro, a causa della ferita alla testa riportata nella battaglia decisiva dello scorso volume. Come fosse una dei pazienti di Oliver Sacks, Baru non riesce più a percepire il lato destro del suo campo visivo, con l’emisfero più paranoide e influenzato dal suo terribile maestro Cairdine Farrier (l’uomo che Baru desidera più di ogni altro annientare) che sembra prendere il sopravvento. La nuova Baru, mutilata nel fisico e nello spirito dal lutto per l’esecuzione da lei stessa perpetrata dell’amata Tain Hu, non avrà un attimo di respiro. Come sempre infatti una missione già quasi impossibile sulla carta assegnatale dall’impero di Falcrest si trasforma in un’affannosa corsa alla sopravvivenza e al potere.



Dato che dare anche solo una vaga idea di cosa succeda in questo volume va oltre le possibilità sintetiche di qualsiasi essere umano, figuriamoci le mie, procederò con un elenco puntato delle sole principali linee narrative del tomo:

  • Baru entra a far parte della cricca di criptarchi che manipolano l’imperatore e lottano con il senato. Il gruppo di cospiratori nell’ombra è equilibrato da una perenne lotta fratricida. Non avendo ostaggi o punti deboli su cui gli altri criptarchi possano fare leva, Baru è considerata pericolosa in quanto non ricattabile, senza contare che è ritenuta troppo influenzata dal suo maestro.
  • Cairdine Farrier e Hesychast, nemici giurati dentro il gruppo dei criptarchi, assegnano a Baru una missione: scoprire cosa sia il Cancrioth (entità misteriosa, forse magica, che ha garantito la millenaria vita dell’impero Mbu) e assicurarsi il segreto della sua leggendaria immortalità.
  • Baru viene affidata a un altro membro dei criptarchi, Apparitor, a sua volta protagonista di una complessa storia su come sia diventato criptarca e su chi sia il suo ostaggio attraverso cui viene manipolato.
  • Apparitor assegna a un suo servo e amante di etnia Mbo Iraji il compito di proteggere Baru e anche lui avrà una storia non indifferente nell’economia della trama.
  • La rocca dove Baru si sta riprendendo dagli ultimi eventi viene attaccata da una sezione ribelle della Marina della repubblica imperiale, convinta che lei voglia scatenare una guerra contro gli Mbo che fornirebbe al Senato la scusa per vaste epurazioni tra i membri della flotta. Inoltre alcuni ufficiali della Marina non le perdonano di aver sacrificato delle navi per ottenere la fiducia dei ribelli nel primo libro. In questo frangente tornerà anche Aminata, ufficiale di marina Mbo legata da una strana forma di lealtà verso Baru.
  • A inseguire Baru c’è anche Tain Shir, parente di Tain Hu decisa a torturare Baru per farle capire il vero prezzo dietro il suo sacrificio di pedine e persone per la conquista del potere. Oggettivamente uno dei passaggi migliori dei libro, perché Tain Shir è tanto matta da legare quando spettacolare quando fissa Baru in fuga e le punta silenziosamente il dito contro, gelando il sangue nelle sue e nostre vene.
  • Sulla stessa nave di Baru c’è anche Xate Yawa, sua vecchia conoscenza dei tempi della ribellione ad Aurdwynn, fedele alla repubblica imperiale ma decisa a toglierla di mezzo per mantenere il controllo sul Nord. Non mancano digressioni sulla giovane Yawa.
  • Baru incontrerà anche i sopravvissuti della falsa ribellione da lei ordita e lotterà con Yawa a distanza per assicurarsi il controllo sul Nord.
  • Inseguita da Tain Shir, Baru è costretta a fuggire di luogo in luogo, cercando informazioni sugli Mbo e sul loro impero, visitando tre avamposti remoti della repubblica di Falcrest, scontrandosi con le rispettive popolazioni, personaggi ed economie.
  • La storia di Baru è intervallata da quella di Tau-Indi Bosoka, una sorta di principe ambasciatore degli Mbo, di cui viene raccontata a più riprese l’adolescenza e il legame con due amici d’infanzia. Il primo è prigioniero segreto della Marina e potrebbe essere il pretesto perfetto per Falcrest per scatenare la guerra, la seconda non si sa dove sia finita nel presente di Baru.
  • Nei flashback di Tau-Indi viene raccontato inoltre il viaggio dei giovani Hesychast e Farrier nel regno degli Mbo durante la guerra della prima Armada, quando già i due cercavano un modo per far collassare l’impero millenario.
  • Viene spiegato approfonditamente il concetto di trim, elemento cardine della cultura Mbo, una sorta di interconnessione tra persone che funziona a livello sociale, culturale ed economico.

Queste sono solo le linee narrative principali del libro e sostanzialmente succedono tutte insieme: la più grande debolezza di The Monster Baru Cormorant è lo sgarbo con cui butta fuori bordo il lettore, lasciandolo annegare in questa mareggiata di avvenimenti e personaggi, senza che l’autore riesca a fornire un supporto galleggiante razionale al quale aggrapparsi. Se doveste avventurarvi nella lettura del tomo è di vitale importanza leggere questo post sul sito dell’editore Tor, in cui lo stesso Seth Dickinson fa un sunto di tutti gli avvenimenti del primo romanzo e dei personaggi che dovete tenere a mente per venire a capo di questo tomo.

Lungi dall’essere rimasta delusa, ho trovato The Monster Baru Cormorant ancor più affascinante del primo volume. Gli spunti narrativi che la sua miriade di personaggi offre rende il lettore davvero solidale con Dickinson, perché il romanzo ha la rarissima virtù di presentare personaggi a tutto tondo e con un’intera scala di grigi morali, anche nelle retrovie. Cospiratori stagionati come Xate Yawa e Apparitor altrove sarebbero stati ritratti come semplici “cattivi”, mentre qui hanno motivazioni solide nel loro opporsi a Baru e storie così complesse da renderli equiparabili a protagonisti veri e propri.

Anche le new entry sono davvero spettacolari. Ho adorato il tocco horror sadico dell’inseguimento di Baru da parte di Tain Shir, parente di Tain Hu decisa a insegnare a Baru il prezzo della sua politica di acquisizione del potere attraverso il sacrificio delle persone. Soprannominata “il tormento delle vedove”, Tain Shir è una folle sanguinaria ma dannatamente intelligente, una sorta diversione femminile del colonnello Kurtz che è riemersa da un viaggio suicida folle e inarrestabile, di cui tutti hanno paura.

Dall’altro lato dello spettro c’è Tau-Indi Bosoka, l’ambasciatore Mbu il cui passato comincia ad essere narrato molto prima della sua apparizione in scena. Inizialmente reagivo quasi con fastidio (cfr. la reazione al capitolo Daenerys) di fronte ai flashback ambientato nel regno dei Mbu perché sembravano totalmente fuori contesto e perché volevo rimanere al fianco di Baru, ma il dannato Dickinson sa bene cosa sta facendo e sul finale del tomo viene quasi da rimpiangere che il Tau-Indi non sia protagonista di una storia tutta sua.

Tra l’altro il suo personaggio si etichetta come laman, una sorta di terzo genere sessuale che unisce il maschile e il femminile in maniera fluida, a riprova di quanto la tematica queer qui non sia usata come facciata politically correct o mero abbellimento dall’autore. L’inserimento di Tau-Indi permette di esplorare appieno l’ecosistema culturale ed economico degli Mbu, un’etnia di chiara ispirazione africana che presenta un modello sociale molto distante a quello circa capitalista e colonialista di Falcrest, ma che si dimostra straordinariamente complesso da comprendere appieno e difficile da distruggere.Un dettaglio che mi ha scaldato il cuore è che, pur essendo morta tra atroci tormenti, Tain Hu rimane di fatto una delle protagoniste del storia di Baru e la sua influenza torna a mostrarsi con forza nelle sue peripezie, dimostrando quanto a fondo avesse capito (e amato) l’egoista e narcisista protagonista del romanzo.

Tornando a Baru, come non amare la sua constante ambiguità di fondo, sospesa tra genio e stupidità, sacrificio disinteressato e egoismo calcolato, che anche sul finale (davvero enorme, anche se non all’altezza dell’iconica, drammatica chiusa del precedente libro) non sgombra il campo dal perenne dubbio sul fatto se sia carnefice di Falcrest o vittima troppo ottusa per scoprirsi tale?

Insomma, The Monster Baru Cormorant è un disastro annunciato contenuto fino a diventare un’ardua impresa che ripaga il lettore che vi si sottopone. A differenza di The Traitor Baru Cormorant – che comunque consiglierei con molti se e molti ma dato il livello di violenza, angst e disperazione ivi contenuto – è un sacrificio che vale la pena fare solo per fedelissimi di Dickinson. Come la sottoscritta, che spera vivamente si spicci a scrivere il prossimo tomo perché mandare a memoria tutta questa rete di complotti, traditori e pessimi governanti non è una faccenda per nulla semplice.



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